Accordo sul clima USA-Cina, le vere implicazioni

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Post tratto dal  Blog di Carlo Carraro (pubblicato il 19/01/15)

Sono ormai diversi i commenti e le analisi circolati sull’accordo bilaterale firmato da Stati Uniti e Cina in tema di cambiamenti climatici lo scorso novembre. La notizia ha fatto il giro del mondo, ottenendo più visibilità a livello internazionale di quanta ne abbiano avute le ben piu’ ambiziose decisioni dell’Unione Europea in tanti anni di continua e progressiva azione per ridurre le proprie emissioni.

Siglando il documento, entrambe le superpotenze si sono impegnate a ridurre in modo rilevante le loro emissioni di gas serra. La Cina si è impegnata a raggiungere, entro il 2030, il picco di emissioni e un aumento del 20% della quota di energie non fossili, mente gli Stati Uniti si sono impegnati a ridurre del 26-28% le loro emissioni entro il 2025 rispetto ai livelli del 2005.

Ma siamo sicuri di aver colto le vere implicazioni per il clima di questa rilevante notizia?

Sappiamo, perché l’hanno ormai detto in molti, che il risultato più significativo dell’accordo USA-Cina non è tanto negli obiettivi in sé, quanto nel segnale politico e nello stimolo che esso rappresenta sulla scena dei negoziati internazionali. Nei prossimi mesi vedremo infatti concretizzarsi gli impegni dei vari Paesi in vista della decisiva COP21 di Parigi, e l’esempio dato dalle due potenze, che si posizionano ai primi due posti nella classifica degli emettitori di gas serra a livello globale, non può non fare la differenza. Tuttavia, vale la pena di valutare la reale efficacia per il clima degli impegni presi dai due Paesi. Quali saranno gli effettivi impatti dei loro obiettivi? Questi impegni rappresentano davvero un sostanziale passo in avanti?

STATI UNITI
Il nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni fissato dagli Stati Uniti sembra essere sulla buona strada per rispettare il limite di 2°C entro il 2100 come limite massimo al riscaldamento del nostro pianeta.

Consideriamo tre scenari di emissioni future per gli Stati Uniti coerenti con il raggiungimento dell’obiettivo dei 2°C a fine secolo. Il primo scenario (EMF) è prodotto dall’Energy Modeling Forum. Il secondo scenario (LIMITS) proviene da LIMITS, un importante progetto finanziato dalla Commissione Europea e coordinato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei. Il terzo scenario (SSP) identifica le emissioni di gas serra degli Stati Uniti all’interno dello Shared Socioeconomic Pathway (SSP appunto) che porta ad un aumento della temperatura a fine secolo di 2°C.

Scenarios of US GHG emissions from 1990 to 2100

Figura 1: Scenari di emissioni di gas serra degli Stati Uniti nel periodo 1990-2100 (fonte: Samuel Carrara e Giacomo Marangoni, Fondazione Eni Enrico Mattei)

 

 

 

 

 

 

 

Come illustrato nella Figura 1, in tutti e tre gli scenari l’obiettivo di riduzione delle emissioni adottato dall’amministrazione statunitense risulta essere abbastanza coerente con l’obiettivo dei 2°C in tutti gli scenari. Un importante sforzo addizionale sarà necessario oltre il 2025, ma l’obiettivo al 2025 sembra essere sufficientemente ambizioso.

Tuttavia, sebbene significativo, va notato che l’obiettivo USA risulta inferiore alla riduzione di circa il 30% prevista da parte dell’Unione Europea per il 2025 (ricordiamo che l’Unione Europea si è impegnata a ridurre le sue emissioni di gas serra del 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030). Rispettando l’obiettivo di riduzione del 26-28% entro il 2025 (rispetto ai livelli del 2005), gli Stati Uniti otterranno infatti una riduzione del 16,3% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, inferiore quindi a quella a cui si e’ impegnata l’Unione Europea.

Resta da chiedersi se l’obiettivo di riduzione delle emissioni degli Stati Uniti sia realisticamente raggiungibile, dato che richiede di raddoppiare il ritmo di riduzione delle emissioni tra il 2015 e il 2025 rispetto a quanto fatto nel periodo 2005-2015. Sulla base delle analisi effettuate, raddoppiare gli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra è fattibile sia tecnicamente che economicamente per gli Stati Uniti. Inoltre, poichè sia le emissioni pro-capite che le emissioni per unità di PIL americane sono maggiori rispetto a quelle europee, lo sforzo di marginale di mitigazione è inferiore per gli Stati Uniti che per l’Europa.

Non va però dimenticato che, negli Stati Uniti, la più significativa barriera all’azione per il clima è oggi di natura politica ed è rappresentata dal Congresso, attualmente guidato dai repubblicani. Il presidente Obama può sviluppare un quadro d’azione per il clima attraverso una serie di meccanismi regolatori, come il Clean Power Plan, la realizzazione di standard di efficienza energetica per edifici e trasporti. Ma è improbabile che queste politiche siano in grado di apportare un taglio alle emissioni del 26-28%. Potrebbe quindi essere necessario cercare investimenti privati per favorire, in particolare, lo sviluppo di tecnologie per la produzione di energia pulita. Una strada, quella di attrarre investimenti privati, che può essere percorribile a condizione che si abbassino i prezzi delle rinnovabili. Questo si sta verificando, in particolare nel settore dell’energia solare, la cui produzione è cresciuta del 139.000 per cento negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni.

CINA
Prima di impegnarsi a raggiungere il picco di emissioni entro il 2030, l’obiettivo della Cina consisteva nella riduzione del 40-45% della sua intensità carbonica (ovvero delle emissioni di gas serra per unità di prodotto interno lordo) entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005. Secondo le proiezioni dei modelli dell’IEA e dell’EIA, una riduzione dell’intensità carbonica del 45% avrebbe comportato emissioni complessive di poco inferiori (secondo l’IEA) o pari (secondo l’EIA) alla traiettoria business-as-usual cinese. Inoltre, dato il tasso di crescita economica della Cina, è molto improbabile che un obiettivo relativo e non assoluto di questo tipo avrebbe consentito di raggiungere il picco delle emissioni al 2030.

L’impegno assoluto preso ora dal governo di Pechino è quindi un passo nella giusta direzione. Tuttavia, possiamo concludere che anche la Cina è sulla buona strada per l’obiettivo 2°C?

Consideriamo ancora una volta i tre scenari delineati in precedenza guardando ora alle implicazioni per la Cina. Come mostrato in Figura 2, un picco di emissioni al 2030 non sembra essere coerente con l’obiettivo 2°C in nessuno dei tre scenari. Per essere coerente con l’obiettivo, il picco dovrebbe avvenire nel 2020-2025.

Scenarios of China GHG emissions from 1990 to 2100

Figura 2: Scenari di emissioni di gas serra in Cina nel periodo 1990-2100

 

 

 

 

 

 

 

Secondo uno studio più ottimista[1], in uno scenario Continued Effort, che prevede il mantenimento degli impegni sull’intensità carbonica presi dalla Cina a Copenaghen, le emissioni cinesi raggiungerebbero il loro picco nel 2040, mentre in uno scenario Accelerated Effort, scenario che tiene conto dei nuovi impegni cinesi, le emissioni raggiungerebbero il picco nel 2030, con un costo di circa 1,3% del PIL (probabilmente non realistico) e un aumento della quota di fonti non fossili nel mix energetico del 20% al 2025. Il raggiungimento di tale quota di energia “pulita” é però dovuto in gran parte alla diffusione dell’energia nucleare. Inoltre, lo studio non è in grado di dimostrate che questo andamento delle emissioni cinesi, combinato con gli obiettivi proposti dagli Stati Uniti, dall’Europa e dal resto del mondo, sia sufficiente a mantenere l’aumento della temperatura globale entro i 2°C a fine secolo.

Vale comunque la pena di considerare positivamente lo sforzo della Cina. Se avesse mantenuto il vecchio target (2005-2020), avrebbe dovuto ridurre l’intensità energetica di circa il 3% all’anno (un obiettivo che la Cina è in grado di raggiungere). Con il nuovo impegno (con un picco delle emissioni entro il 2030) il ritmo di riduzione delle emissioni è di circa il 4% annuo. Lo sforzo non è raddoppiato, ma si tratta di un miglioramento significativo. Tuttavia, anche se la Cina raggiungesse il picco delle emissioni nel 203o, la riduzione delle emissioni necessaria dopo il picco per rispettare l’obiettivo dei 2°C (Figura 2) sarebbe ancora piu’ importante e purtroppo ancora piu’ improbabile da raggiungere.

E’ però importante sottolineare l’importanza del target di aumento del 20% della quota complessiva di energie non fossili nel mix energetico entro il 2030. L’energia solare in Cina si sta sviluppando a ritmi senza precedenti, e con essa l’energia nucleare è in rapida crescita. Purtroppo, anche l’uso di carbone e la crescita economica si stanno sviluppando a ritmi senza precedenti e, considerando il numero di centrali a carbone in costruzione, il destino della Cina pare essere quello di mantenersi ad un livello elevato di emissioni di carbonio nei prossimi decenni. Il target cinese sulle rinnovabili è infatti piuttosto impegnativo: al momento, solo il 10% del mix energetico della Cina proviene da fonti di energia alternativa ai combustibili fossili e il target del 20% richiederebbe l’installazione di ulteriori 800-1000 gigawatt di tecnologie carbon-free (eolico, solare, nucleare e altro) entro il 2030. Un valore superiore alla somma della capacità delle centrali a carbone attualmente operanti in Cina.

Per concludere, meritano di essere messe in luce due considerazioni finali in merito all’accordo USA-Cina.

In primo luogo, va notato che la riduzione delle emissioni non è l’unico componente dell’accordo. I due Paesi stanno infatti dimostrando grande interesse in investimenti bilaterali in ricerca e sviluppo, che mirano a guidare l’innovazione tecnologica e a ridurre il prezzo dell’energia pulita. Il rinnovato impegno per l’US-China Clean Energy Research Center (CERC) è particolarmente incoraggiante in questo senso, così come il nuovo grande progetto di stoccaggio del carbonio sviluppato da un consorzio internazionale e guidato proprio da Stati Uniti e Cina. Queste e altre iniziative inaugurate con l’accordo di novembre possono rappresentare uno slancio a livello internazionale, possono rafforzare la stretta collaborazione tra le due potenze nel campo della mitigazione oltre che abbassare le barriere che i due Paesi incontreranno per rispettare gli obiettivi che si sono posti.

In secondo luogo, seppur non sufficienti a mantenere l’aumento della temperatura al di sotto del limite di 2°C, gli impegni bilaterali USA-Cina mandano al resto del mondo il forte messaggio che non ci sono più scuse per ignorare i cambiamenti climatici. Sono quindi un passo nella giusta direzione e rappresentano la base perché l’accordo internazionale e vincolante sul clima che si raggiungerà alla COP21 di Parigi alla fine di quest’anno sia davvero forte e ambizioso.

[1] See Xiliang Zhang, Valerie J. Karplus, Tianyu Qi, Da Zhang and Jiankun He, Carbon emissions in China: How far can new efforts bend the curve?, MIT Joint Program Report N 267, Oct 2014.

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