Uragani nell’Atlantico: migliori previsioni grazie a nuovi indizi dalla temperatura dell’oceano

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La capacità di prevedere gli uragani nel Nord Atlantico con diversi mesi di anticipo è fondamentale per prevenire i gravi impatti su società ed ecosistemi di questi fenomeni naturali, l’espressione più intensa, insieme ai tifoni del Pacifico, dei cicloni tropicali.
In uno studio appena pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica PNAS – Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America i ricercatori hanno messo in luce l’esistenza di una forte correlazione tra la temperatura media dei primi 40 metri dell’oceano nella zona dell’Atlantico orientale e l’attività dei cicloni tropicali atlantici nel mese di settembre, un fenomeno che probabilmente è legato alle alte temperature oceaniche che modulano l’intensità degli Alisei e determinano un wind shear basso ai tropici, tutti fattori che concorrono alla genesi di un ciclone tropicale.

“In questo studio”, spiega Enrico Scoccimarro, ricercatore CMCC alla Divisione CSP – Climate Simulation and Prediction e primo autore dello studio, “abbiamo individuato una nuova sorgente di predicibilità dell’attività degli uragani dato dalla temperatura sotto-superficiale della zona orientale dell’Atlantico (la temperatura media dei primi 40 metri della colonna d’acqua, ndr). Il nostro studio evidenzia non solo che utilizzare la temperatura sotto-superficiale al posto del parametro comunemente preso in esame in questi casi, cioè la temperatura oceanica superficiale, fornisca più informazioni, e quindi una miglior capacità di previsione dell’attività degli uragani, ma anche come sia importante includere nella nostra analisi un effetto non locale che ha luogo in una regione remota, la zona dell’Atlantico orientale, lontana dalla zona di genesi dei cicloni tropicali.”

Una stagione di cicloni tropicali particolarmente intensa si verifica tipicamente per condizioni di wind shear più basso del normale nella cosiddetta Main Development Region, la zona al centro del Nord Atlantico dove gli uragani tendono a formarsi e da cui si diffondono verso ovest, e per venti Alisei deboli, condizioni associate a temperature marine superficiali più alte nel quadrante dell’Atlantico orientale. Gli autori dello studio hanno notato che un notevole passo avanti nella realizzazione di previsioni affidabili dell’attività dei cicloni tropicali poteva essere ottenuto includendo le temperature medie dell’oceano sotto-superficiale di questa stessa zona. “La temperatura dell’oceano dell’Atlantico orientale modula, infatti, l’intensità degli Alisei, i venti che spirano da nord-est nell’area e che a loro volta determinano il valore di wind shear, e quindi l’attività degli uragani; con il nuovo parametro incluso nel nostro studio, possiamo arrivare a predire con 2-3 mesi di anticipo (a giugno-luglio) l’attività dei cicloni tropicali a settembre, il mese dove si registrano di solito le manifestazioni più intense”, spiega Scoccimarro.

Lo studio è il risultato degli oltre dieci anni di ricerca sugli uragani e sull’oceano globale di due divisioni scientifiche della Fondazione CMCC, CSP – Climate Simulation and Prediction e ODA – Ocean Modelling and Data Assimilation.
La Divisione CSP, diretta dal ricercatore Silvio Gualdi (fra gli autori dello studio di PNAS) è impegnata nello studio dei cicloni tropicali su scala globale ormai da più di dieci anni, e solo di recente ha spostato il focus delle proprie ricerche alla scala stagionale per fornire una previsione più accurata e affidabile dell’attività degli uragani nel Nord Atlantico. In questo studio, con l’obiettivo d’investigare la relazione tra lo stato termico dell’oceano Atlantico e l’attività dei cicloni tropicali in termini di ACE (Accumulated Cyclone Energy, Energia Ciclonica Accumulata), i ricercatori hanno utilizzato le informazioni osservative disponibili, in particolare i dati relativi ai cicloni tropicali dal 1980 al 2015, e le rianalisi per l’oceano globale ad alta risoluzione (un quarto di grado, pari a 25 km di risoluzione spaziale orizzontale) sviluppate in house al CMCC.
Le rianalisi ad alta risoluzione per l’oceano globale sono state sviluppate dalla Divisione ODA diretta dalla Dr. Simona Masina (fra gli autori dello studio di PNAS). Realizzate a partire dal modello NEMO, uno dei modelli più all’avanguardia per la ricerca oceanografica, le rianalisi oceaniche consentono di ottenere una grande quantità d’informazioni estremamente dettagliate sullo stato dell’oceano (per tutti i suoi parametri, come temperatura, salinità, correnti, ecc.), spesso più accurate delle informazioni fornite dal solo dato osservativo; in questo caso, sono state essenziali per includere nello studio il nuovo parametro utilizzato, la temperatura sotto-superficiale dei primi 40 metri, difficilmente rilevabile con metodi osservativi (le osservazioni satellitari, per esempio, registrano solo la temperatura marina superficiale).
Infine, nulla sarebbe stato possibile senza l’elevata potenza di calcolo del Supercomuputing Center del CMCC a Lecce, dove sono stati fatti girare i modelli per ottenere i data set utilizzati in questo studio.

“Il prossimo passo”, conclude Scoccimarro, “ sarà quello di utilizzare i risultati di questo studio per implementare un sistema di previsione degli uragani a partire da tre-quattro mesi prima del mese di picco, tipicamente settembre. L’idea è provare ad allungare l’orizzonte temporale delle previsioni: vogliamo vedere cioè se, già ad aprile o maggio, siamo in grado di prevedere come sarà la temperatura sotto-superficiale nella zona dell’Atlantico orientale a giugno.”

Il team di autori è guidato dal ricercatore CMCC Enrico Scoccimarro (CSP). Tra gli autori, i CMCC: Alessio Bellucci (CSP), Andrea Storto, Silvio Gualdi (Direttore della Divisione CSP), Simona Masina (Direttore della Divisione ODA) e Antonio Navarra.
Per ulteriori informazioni, leggi la versione integrale dell’articolo di PNAS “Remote subsurface ocean temperature as a predictor of Atlantic hurricane activity”, Enrico Scoccimarro et al., 2018

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