Clima: nuove scoperte sulla variabilità climatica nell’Atlantico

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Le attività umane (emissioni di gas serra e aerosol in particolare) influiscono sulla temperatura dell’Oceano Atlantico e di conseguenza su fenomeni climatici come siccità africane, precipitazioni, l’intensificarsi dell’attività dei cicloni tropicali atlantici, il clima estivo in Europa occidentale e Nord America. Un recente studio della Fondazione CMCC apre nuove prospettive nel dibattito scientifico internazionale ripreso dalla rivista Nature.

È come un’oscillazione, una fluttuazione delle temperature marine superficiali nel Nord Atlantico, con un periodo apparente di circa 60-70 anni. Per questo fenomeno gli studiosi hanno coniato un termine ad hoc, AMV Atlantic Multidecadal Variability (Variabilità Atlantica Multidecadale) o AMO – Atlantic Multidecadal Oscillation (Oscillazione Atlantica Multidecadale), in quest’ultimo caso a sottolineare il suo comportamento quasi-oscillatorio.

Il fenomeno affascina i ricercatori non soltanto da un punto di vista accademico, ma anche per i suoi importanti effetti sul clima di una vasta area, oceanica e continentale. Questa oscillazione è infatti collegata ad alcuni importanti fenomeni idro-climatici: le variazioni nel regime delle precipitazioni in Sahel e le terribili siccità in Africa degli anni’80, l’intensificarsi dell’attività dei cicloni tropicali atlantici degli ultimi decenni, il clima estivo in Europa occidentale e in Nord America, le temperature superficiali nel Mediterraneo, sembrerebbero tutti influenzati dalla Variabilità Atlantica Multidecadale (AMV).

Appare quindi chiaro come una sua eventuale predicibilità, ovvero la capacità che avremo in futuro di comprenderne evoluzione e dinamiche, sia davvero molto importante.

Attorno alle origini di questo fenomeno ruota da tempo un acceso dibattitoConvenzionalmente, la scuola di pensiero dominante riteneva che la AMV fosse dovuta a dei processi interni al sistema climatico atlantico, ovvero che fosse da imputare principalmente alla variabilità interna dell’oceano e dell’atmosfera, non “forzata” da fattori (forzanti per gli addetti ai lavori) esterni, sia naturali che di origine antropica.

Negli ultimi anni, però, si è fatta strada un’ipotesi alternativa (ma non necessariamente esclusiva dell’altra), che afferma che a causare una frazione rilevante di queste oscillazioni, per lo meno per quanto riguarda gli ultimi decenni, abbiano contribuito fattori esterni al sistema climatico,  Questi ultimi includono sia fenomeni naturali, come la variazione dell’attività solare o l’attività dei vulcani, che attività umane, come le emissioni antropogeniche di aerosol (particolato atmosferico costituito da microparticelle solide di inquinanti organici, solfati, residui carboniosi, etc) e di gas serra.

Lo studio dei ricercatori CMCC Alessio Bellucci e Silvio Gualdi, The Role of Forcings in the Twentieth-Century North Atlantic Multidecadal Variability: The 1940–75 North Atlantic Cooling Case Studys’inserisce nella discussione, andando a fornire alcune evidenze a supporto di quest’ultima ipotesi: i loro risultati sembrerebbero indicare, infatti, che la variabilità atlantica, in particolare quella osservata alla metà del XX secolo, sia stata causata in buona parte da fattori antropici, in particolare dai gas serra e dagli aerosol antropogenici.

I ricercatori CMCC sono andati alla ricerca delle origini della variabilità multidecennale delle temperature marine superficiali nel bacino Nord Atlantico, analizzando dunque un particolare evento climatico, un fenomeno di raffreddamento del Nord Atlantico verificatosi alla metà del XX secolo (1940-75). I risultati dello studio hanno evidenziato un potenziale ruolo degli aerosol e dei gas serra antropogenici nel determinare questo ciclo di variabilità atlantica.

“Per questo lavoro”, spiega Alessio Bellucci, primo autore dello studio, “abbiamo utilizzato un set molto ampio di simulazioni, attingendo in particolare alle simulazioni di CMIP5, già utilizzate a supporto dell’ultimo rapporto IPCC, AR5. Studi precedenti di questo tipo avevano basato i loro risultati quasi esclusivamente su un solo modello, e per questo motivo erano stati oggetto di numerosi critiche”.

Un altro valore aggiunto dello studio CMCC è rappresentato dall’approccio utilizzato, di tipo “gerarchico”. Un approccio di questo tipo si rivela molto utile quando si vogliono identificare in modo chiaro i principali fattori responsabili di un determinato fenomeno.

“Per ricostruire i fattori all’origine del caso studio esaminato”, continua Bellucci, “ci siamo inoltre avvalsi di una gerarchia di simulazioni diverse, utilizzando sia simulazioni standard, in cui tutti i forzanti, naturali e antropogenici, sono presi in considerazione contemporaneamente, sia simulazioni più idealizzate, in cui cioè si considerano solo uno o un particolare sottoinsieme di forzanti alla volta. L’obiettivo era quello di riuscire a isolare l’effetto individuale dettato dai singoli fattori, naturali e antropici”.

I risultati dello studio hanno importanti implicazioni anche per quanto riguarda le previsioni climatiche decadali, una nuova tipologia di previsione climatica che si è andata di recente ad aggiungere alle già esistenti previsioni climatiche stagionali.
Se le previsioni stagionali sono utilizzate per prevedere e studiare fenomeni come El Niño, quelle decennali sono importanti per studiare l’evoluzione del clima in un arco temporale che spazia da alcuni anni fino a 10-20 anni.

Se prima si riteneva che le emissioni antropogeniche influissero unicamente sulla tendenza a lungo termine del clima (da qui alla fine del secolo, per esempio), gli ultimi studi mostrerebbero una loro influenza anche nel medio termine, su scala cioè multiannuale o decennale.

“Questa nuova visione emergente”, conclude Bellucci, “ci invita quindi a considerare nelle previsioni decadali anche l’incertezza legata agli scenari di emissione di aerosol e gas serra antropogenici, considerando scenari alternativi: a seconda infatti di quale specifico scenario andremo a considerare nel simulare il clima dei prossimi 10, 20, 30 anni, potremo osservare un comportamento molto diverso nella risposta dei modelli.”

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