Investimenti, sviluppo, imprese: l’utopia sostenibile secondo Giovannini

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Distopia, retrotopia, utopia. Come vivere la complessità del presente?
Con questa domanda ha avuto inizio l’incontro tenutosi il 24 maggio tra le mura dell’Università Ca’ Foscari Venezia, tra i primi della serie di eventi CMCC organizzati nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2018.

Protagonista Enrico Giovannini, Professore di Statistica Economica presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS), autore del libro “L’utopia sostenibile” (ed. Laterza, 2018). A discutere con lui, il Professor Carlo Carraro e la Professoressa Chiara Mio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, mediati dalla giornalista Laura Bettini di radio24 Il Sole 24 Ore.

Una discussione che si è trasformata in un dibattito aperto e poliedrico sulla sostenibilità come un processo che, spesso visto come un ostacolo, rappresenta invece una grande opportunità per cambiare in meglio.  “È utopico pensare che il modello economico attuale possa ancora funzionare” sostiene il Prof. Giovannini. “Meglio credere in un’altra utopia: quella sostenibile”. L’Agenda 2030, a detta del professore, è l’espressione più alta di un consenso comune sul futuro che vogliamo costruire, ma questa ambizione non viene ancora sufficientemente corrisposta nella pratica: gli investimenti e gli investitori sono la chiave, ma l’Italia e l’Europa non sembrano aver ancora abbracciato in modo soddisfacente il concetto di sostenibilità e quello di totale ristrutturazione sociale, economica e politica che questo comporta.

Il Prof. Carraro sostiene con dei dati la necessità di fare di più, guardando però al bicchiere mezzo pieno: gli investimenti legati ai cambiamenti climatici sono in ascesa a livello globale (avendo raggiunto i 400 miliardi all’anno), e hanno superato la metà di quelli necessari per portare la traiettoria delle emissioni future su di un percorso coerente con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro i due gradi alla fine del secolo. Un buon segnale che, sostiene Carraro, viene non tanto dalla consapevolezza ambientale, quanto dalla convenienza economica, agevolata dalle giuste politiche, di questi investimenti (in infrastrutture, mobilità sostenibile, produzione energetica).

Il sistema delle imprese, del settore pubblico e della politica, sottolinea Chiara Mio, dovrebbero iniziare a pensare in termini di long term value creation (creazione di valore a lungo termine). Come? Investendo non tanto sul capitale fisico, quanto su quello umano. “Sostenibilità significa diritto al futuro e diritti delle generazioni future” afferma Giovannini: uno sviluppo sostenibile deve essere improntato a una creazione di valore futuro non solo economico ma anche, e principalmente, sociale e ambientale, e quindi non solo per i pochi shareholders ma per tutti gli stakeholders.

Diversi imprenditori di grandi aziende sono coscienti di quanto la sostenibilità, soprattutto quella sociale, sia negli interessi delle imprese del futuro, e numerosi studi dimostrano che le aziende sostenibili sono anche più performanti. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, c’è ancora molta confusione tra concetti fondamentali e profondamente distinti quali charity, Corporate Social Responsibility e sostenibilità.

Resta cruciale il ruolo della politica e dei rappresentanti politici, che sostengano l’impegno delle imprese in questa direzione e di un radicale mutamento nella cultura e nella mentalità di tutti i popoli.

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