Dopo due settimane e un’ultima maratona di 60 ore ininterrotte di negoziati, la COP17 a Durban si conclude con un accordo raggiunto proprio all’ultimo minuto.
Le consultazioni per un nuovo trattato legalmente vincolante per tutti i paesi inizieranno a partire dal prossimo anno e si concluderanno nel 2015, per dare inizio a una fase operativa entro il 2020.
I delegati hanno anche approvato la costituzione del “Green Climate Fund”, un fondo per aiutare i paesi poveri a sviluppare politiche di adattamento (anche se ancora non è stato deciso come fare a finanziarlo).
Un significativo passo avanti è stato fatto anche per quanto riguarda la lotta alla deforestazione e alla degradazione delle foreste (REDD).
In sintesi, la COP17 si conclude con tre importanti traguardi: lo sviluppo di molti elementi dell’accordo di Cancun; un secondo mandato di 5 anni per il protocollo di Kyoto; una “roadmap” per arrivare a un nuovo accordo legalmente vincolante entro il 2020.
Le decisioni formali approvate, trentasei per l’esattezza, e i vari report e documenti finali sono disponibili sul sito dell’UNFCCC. I principali risultati ottenuti sono riassunti nell’ultimo comunicato stampa del segretario dell’UNFCCC, consultabile qui.
La prima proposta di “roadmap” è stata ideata di concerto dall’Europa, l’alleanza degli stati delle piccole isole e il blocco dei paesi più poveri del pianeta.
La conclusione del summit è stata rallentata da una discussione fra EU e India sull’esatta terminologia con cui definire la “roadmap”: l’India non voleva accettare la specificazione di accordo “legalmente vincolante” (legally binding). Alla fine, un delegato brasiliano ha coniato il termine di accordo con “forza legale” (legal force), che è apparso accettabile a tutti i negoziatori.
Come possiamo valutare i risultati raggiunti? È ancora difficile farsi un’idea di quanto è accaduto a Durban. Molte opinioni diverse si sono intrecciate nelle ultime ore.
Le voci dei tiepidi ottimisti: Reason to smile about Durban climate conference (Eugene Robinson sul Washington Post); Climate deal salvaged after marathon talks (The Guardian); Assessing the Climate Talks-Did Durban succeed? (Roberts Stavins sul suo blog).
E dei pessimisti, molto più numerosi: Climate Talks in Durban Yield Limited Agreement (The New York Times); In Glare of Climate Talks, Taking On Too Great a Task (ancora NYTimes); The Durban climate deal failed to meet the needs of the developing word (di nuovo Guardian); Winners and losers (BBC); How the world failed to address climate change–again (Michael Levi su The Atlantic.com); COP out (South Africa’s Cape Times).
Le reazioni ufficiali dei partecipanti alla fine dei negoziati della COP17 sono state molto variabili: dall’ottimismo della commissaria europea per il clima, Connie Hedegaard, alla cauta dichiarazione del rappresentante degli stati africani Tosi Mpanu Mpanu, che considera il nuovo accordo un compromesso non del tutto soddisfacente.
I delegati del Basic Group (cui aderiscono molte delle grandi economie emergenti, come Cina, India, Brasile, Sud Africa) hanno denunciato la rigidità e l’eccessiva formalità legale dei negoziati. Molti paesi in via di sviluppo temono che la nuova “roadmap” obbligherà i paesi poveri ad agire allo stesso modo dei paesi sviluppati. L’appassionato appello dell’India a mantenere gli ideali di giustizia e onestà al centro delle trattative non sembra aver avuto un riscontro nel nuovo testo approvato, dove non vi sono distinzioni tra gli sforzi dei piccoli e dei grandi inquinatori, o una distinzione fra paesi ricchi e paesi poveri, dove milioni di persone vivono ancora in condizioni di estrema povertà.
“I governi sono riusciti a mantenere aperta una via per futuri negoziati” – ha dichiarato Keith Allott, responsabile clima del WWF inglese – “ma non dobbiamo dimenticare che con gli impegni presi per ridurre le emissioni, la temperatura globale continuerà a salire, fino al doppio del target dei 2°C. Con conseguenze catastrofiche”. La principale critica è quella di aver sprecato del tempo prezioso nella scelta di un set anodino di parole da inserire nel testo della “roadmap”, prestando poca attenzione all’allarme proveniente dalla comunità scientifica.
Il problema maggiore risiede senza dubbio nel fatto che il nuovo accordo non affronta il problema del taglio delle emissioni in maniera efficace, e questo per molte associazioni ambientaliste e paesi in via di sviluppo rappresenta una grave mancanza.
L’impressione è che la parte difficile debba ancora venire. Probabilmente i negoziati dureranno anni: il tempo per arrivare a un accordo è poco, e le questioni da risolvere molto complesse. Volendo essere ottimisti, però, un primo traguardo è stato raggiunto: tutti i paesi hanno ammesso la gravità delle sfide poste dai cambiamenti climatici, e sembrano disposti a fare la loro parte.
Immagine dell’album Flickr CC di UNClimatechange