Le specie ‘protette’ raccontano i cambiamenti climatici e ci aiutano a reagire

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L’osservazione di uccelli migratori, anfibi e farfalle si trasforma in attività utile a indagare e monitorare gli impatti dei cambiamenti climatici e offre importanti informazioni su come costruire iniziative di adattamento, come dimostra il Progetto Clima – Osservatorio Oasi, promosso da WWF Oasi con il supporto dell’Università della Tuscia e con la collaborazione di CFS, Uniroma3, Museo di Zoologia di Roma e il contributo di Epson, che è stato presentato oggi nella cornice della Riserva Naturale e Oasi WWF Le Cesine (Vernole, Lecce), una delle oltre venti Oasi WWF coinvolte nel progetto. L’incontro è stato l’occasione per fare il punto del progetto, presentare i primi risultati dei monitoraggi e ampliare il programma in collaborazione con il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, il centro di ricerca italiano sul clima con cui WWF Oasi ha siglato una proficua collaborazione scientifica.

Il ruolo strategico delle aree protette nella lotta ai cambiamenti climatici, l’importanza di una nuova tipologia di gestione adattativa degli habitat e degli ecosistemi naturali, il ruolo chiave dei bio-indicatori per il monitoraggio e la prevenzione dei maggiori impatti, scienza del clima e biodiversità marina: questi i principali argomenti di cui si è parlato nel corso della giornata di studio, caratterizzata da tanti contributi e interventi.

Numerosi esperti hanno animato la discussione. “La missione delle aree protette è quella di conservare la biodiversità in tutte le sue manifestazioni”, ha commentato Antonio Canu, Presidente WWF Oasi “A livello globale, grazie a una rete diversificata di parchi e riserve naturali, oggi è sotto tutela una superficie superiore al 12% del Pianeta. Una percentuale  quantitativamente significativa, anche se non sufficiente, ma che ha un valore ancora parziale a livello qualitativo, in termini di rappresentatività di ecosistemi tutelati, di specie a rischio protette, di efficienza di gestione in senso generale”.

“La collaborazione tra il CMCC e il WWF Oasi su questo progetto nasce dalla volontà di integrare l’analisi sistematica e analitica dei cambiamenti climatici con il ruolo che le aree protette svolgono – ha detto Riccardo Valentini, del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici – Un ruolo attivo sia per la riduzione della CO2 in atmosfera, sia perché costituiscono aree utili a proteggere dagli impatti delle variazioni climatiche. La nostra collaborazione dimostra che queste aree sono anche laboratori a cielo aperto utilissimi a indagare gli effetti dei cambiamenti climatici e a fornire informazioni su come costruire le strategie da intraprendere”.

Le aree protette si trasformano così in laboratori a cielo aperto per studiare i cambiamenti climatici. Su questo fronte, gli anfibi sono degli ottimi bio-indicatori dello stato di conservazione degli ambienti umidi, come ha spiegato Marco Alberto Bologna (Università di Roma 3). Questi ambienti rischiano fortemente di ridursi a causa dei cambiamenti climatici, soprattutto per effetto dell’innalzamento medio delle temperature e per la concentrazione delle piogge, cause di un sempre più frequente inaridimento di ampie aree geografiche temperate. Non a caso popolazioni di alcune specie di anfibi si sono già profondamente rarefatte e vedono in aree protette – come le Oasi WWF in Lombardia, Trentino Alto Adige, Toscana, Lazio, Molise, Sardegna – luoghi fondamentali per la propria sopravvivenza. Le analisi scientifiche mettono così in evidenza la necessità di realizzare piani di protezione che consentano il mantenimento, il ripristino e la moltiplicazione dei siti di riproduzione per le diverse specie di anfibi.

Informazioni interessanti arrivano anche dall’osservazione delle farfalle notturne. Utilizzati da tempo come bio-indicatori per la caratterizzazione ecologica degli ambienti e per monitorare diversi processi su vasta scala, i lepidotteri sono stati al centro di una serie di rilievi qualitativi e quantitativi in una rete di Oasi WWF distribuite sul territorio italiano anche in relazione ai cambiamenti climatici. Con queste misurazioni, ha spiegato Alberto Zilli del Museo Civico di Zoologia di Roma, ci si è prefissi l’obiettivo di determinare l’abbondanza relativa nelle comunità biologiche locali delle specie termofile migranti, favorite dal riscaldamento globale, rispetto a quelle stanziali, tanto che si è potuta osservare l’espansione di alcune popolazioni in aree legate a climi caldi.

“Quali sono le conseguenze dei cambiamenti climatici sui ritmi stagionali, scolpiti nel DNA, degli uccelli migratori?”, si è chiesto invece Diego Rubolini dell’Università degli Studi di Milano. “Gli ecologi e gli ornitologi, potendo contare su ingenti quantità di serie storiche di osservazioni, da diversi anni stanno studiando le variazioni dei tempi di migrazione e la capacità di adattamento delle diverse specie ai cambiamenti climatici in atto”. In conseguenza dell’innalzamento delle temperature, molte specie anticipano i tempi della migrazione, ma non tutte le specie sono in grado di farlo e di tenere così il passo dei cambiamenti climatici. È il caso ad esempio dei migratori a lunga distanza che, non mostrando alcuna tendenza ad anticipare la migrazione, vanno incontro a conseguenze importanti che possono portare a uno sfasamento del ciclo vitale degli uccelli con quello delle loro principali fonti di cibo con effetti che possono produrre un declino demografico della specie.

L’incontro de le Cesine è stata un’occasione di confronto molto proficua che, grazie anche alla partecipazione di Riccardo Valentini (CMCC e Università della Tuscia), Marco Alberto Bologna (Università Roma 3), Franco Andaloro, ISPRA, Leonardo Lorusso (Presidente WWF Puglia) e Carmine Annicchiarico (Direttore RNS Le Cesine) rilancia gli obiettivi del Progetto Clima verso l’ampliamento della ricerca che merita certamente di essere estesa verso confini più ampi.

Picture Credits: CC by sarabrag at Flickr.com

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