Agricoltura e salute in Pianura Padana: governare l’inquinamento è una priorità assoluta

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Le politiche finalizzate a ridurre l’inquinamento devono agire su traffico e fonti industriali, ma anche includere le emissioni derivanti da fonti agro-zootecniche. Quattro diversi progetti concordano sulla stessa conclusione: la riduzione e la gestione dell’inquinamento atmosferico legato al settore agricolo è essenziale per la tutela della salute della popolazione nella pianura Padana. I risultati, frutto della ricerca finanziata dalla Fondazione Cariplo, sono stati presentati a Milano nel corso del Convegno “Agricoltura e qualità dell’aria – dai dati alle decisioni” organizzato presso la Cariplo Factory da Centro EuroMediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), Legambiente e Università Bocconi con la media partnership di Scienza in Rete.

L’Italia è il secondo Paese dell’Unione Europea per numero di morti premature dovute all’inquinamento atmosferico, con la più alta concentrazione nella ricca e popolosa pianura Padana, caratterizzata da un’importante attività agro-zootecnica e da condizioni geomorfologiche sfavorevoli alla dispersione di inquinanti. La disponibilità di dati è essenziale per comprendere il problema ai fini di tutelare la salute della popolazione attraverso il miglioramento della qualità dell’aria, ma i dati da soli non bastano. Sono il loro studio, l’interpretazione e la creazione di strumenti di supporto alle decisioni che, attraverso il coinvolgimento di diversi settori accademici, rendono possibile la mitigazione e la gestione dell’inquinamento atmosferico legato al settore agricolo.

Il contributo delle emissioni di ammoniaca (NH3) ai livelli di particolato che si registrano in pianura Padana è sostanziale, e l’agricoltura, soprattutto per la gestione delle deiezioni zootecniche e l’uso di fertilizzanti, ne è la principale fonte. L’ammoniaca è infatti uno dei precursori fondamentali della produzione di aerosol secondari inorganici (ASI) – che rappresentano una parte significativa dei PM10 – ovvero quella componente di particolato non direttamente emessa, ma che deriva da reazioni chimiche nell’atmosfera di inquinanti gassosi già presenti, tra cui ossidi di azoto (NOx) e di zolfo (SOx) derivanti da traffico, impianti termici e attività industriali.

Il progetto INHALE (Impact on humaN Health of Agriculture and Livestock Emissions – video riassuntivo qui), coordinato da Università Bocconi e realizzato in partnership con il Centro Euro‐Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e Legambiente Lombardia, ha studiato in quali termini le emissioni derivanti dall’agricoltura concorrano ad elevate concentrazioni di particolato e, di conseguenza, possano determinare un connesso aumento di rischio sanitario per la popolazione in Lombardia. Dalla ricerca emerge la necessità, per le politiche di riduzione dell’inquinamento, di non ignorare le emissioni derivanti da fonti agro-zootecniche (ammoniaca), agendo allo stesso tempo sul fronte degli inquinanti da traffico (NOx).

“Ci siamo focalizzati sui dati di ARPA Lombardia, in particolare sulle concentrazioni di PM10 secondario (nitrati e solfati di ammonio), ammoniaca, ossidi di azoto, PM2.5 e PM10 totali” ha spiegato Lara Aleluia Reis, scientist presso l’istituto di ricerca RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment (EIEE) del CMCC e coordinatrice del progetto INHALE. “Attraverso metodi di machine learning, abbiamo scoperto che durante il lockdown del 2020, nonostante lo stop di molte attività economiche e del traffico, le concentrazioni di aerosol secondari inorganici non sono diminuite quanto ci si sarebbe potuti aspettare, perchè non sono diminuite le emissioni del settore agricolo. Abbiamo inoltre stimato l’impatto di un singolo capo di bestiame sulla qualità dell’aria, rilevando che un aumento di un punto percentuale di bovini determina un aumento dell’1,8% nelle concentrazioni di ammoniaca e dello 0,8% nelle concentrazioni di PM10, mentre un aumento dello 0,3% di suini si traduce in un aumento medio dello 0,26% nelle concentrazioni di ammoniaca e dello 0,03% nelle concentrazioni di PM10. Questo lavoro ci ha infine permesso di fare previsioni per minimizzare la dispersione degli inquinanti in atmosfera e, di conseguenza, l’impatto sulla salute umana”.

Tramite modelli di statistica e di machine learning, il progetto Agrimonia (Agriculture Impact on Italian Air), ideato dall’Università di Bergamo in partnership con Leibniz University Hannover, Università degli Studi Milano-Bicocca e Università degli Studi di Torino, ha studiato la relazione tra concentrazioni di polveri sottili (PM2.5) ed emissioni di ammoniaca, tenendo in considerazione l’effetto della meteorologia e delle caratteristiche del territorio. A tal fine è stato utilizzato il dataset Agrimonia che contiene informazioni giornaliere di circa 50 variabili relative a inquinanti atmosferici (concentrazioni ed emissioni), meteorologia, numerosità dei capi di bestiame e struttura del territorio.

“I modelli statistici utilizzati ci hanno consentito di effettuare delle analisi di scenario, ovvero di valutare l’effetto atteso sulle concentrazioni di PM2.5 ipotizzando di ridurre le emissioni di ammoniaca” ha spiegato Michela Cameletti, Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze Economiche all’Università degli Studi di Bergamo. “Da questa analisi emerge che la riduzione del 50% delle emissioni di ammoniaca comporta una riduzione media invernale per la pianura lombarda di circa 4 microgrammi (μg) al m3, pari al 10% della media delle concentrazioni di PM2.5. Riduzioni più marcate sono attese nella pianura bresciana dove l’attività zootecnica è molto sviluppata: la riduzione media è di circa 9 μg/m3, pari al 18% della media di PM2.5. Per le province di Cremona, Mantova, Bergamo e Lodi si stimano riduzioni comprese tra 5.7 e 4.4 μg/m3, mentre per le altre province le riduzioni attese sono inferiori a 1.5 μg/m3. Ipotizzando di ridurre del 100% le emissioni di ammoniaca si ha una riduzione per l’intera pianura lombarda pari a circa il 20%, con un picco del 36% per la provincia di Brescia”.

Il progetto D-DUST (Data-driven moDelling of particUlate with Satellite Technology aid) si è proposto di evidenziare opportunità e limiti dell’utilizzo di dati non convenzionali, quali satelliti e sensori low-cost, per il monitoraggio delle emissioni agricole. “I risultati indicano buone possibilità di utilizzo di tali misurazioni a supporto del monitoraggio tradizionale, fornendo ai decisori una base informativa più dettagliata e potenzialmente spendibile nell’implementazione delle future politiche di qualità dell’aria” ha affermato Daniele Oxoli, ricercatore al Politecnico di Milano, il cui Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale ha coordinato il progetto, realizzato in collaborazione con Fondazione Politecnico di Milano, il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria e l’Università degli Studi dell’Insubria.

Infine, il progetto AGRIAIR (Data science to reduce agri-food impact on air quality in the Po valley), frutto della collaborazione tra l’Università di Brescia e Politecnico di Milano, Università di Urbino e AmbienteParco, ha strutturato la conoscenza scientifica dei processi di formazione dell’inquinamento atmosferico nella pianura Padana attraverso la creazione di database e sistemi modellistici. Grazie ad essi è stato possibile costruire un sistema di supporto alle decisioni delle autorità locali che consentirà la definizione, la valutazione e il monitoraggio di politiche e strategie sostenibili per un’agricoltura responsabile e una migliore qualità dell’aria.

I risultati dei quattro progetti che sono stati finanziati dalla Fondazione Cariplo e condotti da università e centri d’eccellenza in Italia nel corso degli ultimi due anni, sono stati presentati a Milano il 14 giugno 2023, nel corso del Convegno “Agricoltura e qualità dell’aria – dai dati alle decisioni”  che si è svolto presso la Cariplo Factory ed è stato organizzato da Centro Euro‐Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), Legambiente e Università Bocconi con la media partnership di Scienza in Rete.

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