
Comportamento umano e capacità cognitive degli individui: La Dimensione Sociale dell’Adattamento al Cambiamento Climatico
Il workshop internazionale La Dimensione Sociale dell’Adattamento al Cambiamento Climatico, organizzato congiuntamente da ICCG, CMCC e FEEM, ha avuto luogo il 18 e 19 Febbraio al Palazzo Querini Stampalia di Venezia. Un gran numero di relatori provenienti da numerose discipline e differenti background ha dibattuto e interagito, in un’atmosfera costruttiva, sul tema dell’adattamento della società agli impatti provocati dal cambiamento climatico, e ha reso l’evento una circostanza speciale e degna di attenzione.
C’era qualcosa di nuovo in questo workshop: prima di tutto, l’attenzione alla dimensione sociale dell’adattamento. E’ stato infatti uno dei primi workshop internazionali ad affrontare il tema da questa prospettiva, dando spazio ad un filone emergente di studio basato sul concetto di capacità di adattamento, concetto connesso con il comportamento umano e con le capacità cognitive degli individui. Grazie a tale punto di forza, l’evento ha richiamato un gran numero di partecipanti, che hanno attivamente preso parte alla discussione in dinamiche sessioni di “Domande e Risposte” con i relatori.
La seconda novità è stata la composizione del gruppo di esperti. Lo spettro delle discipline che affrontano il problema dell’adattamento è stato arricchito dalla presenza di ricercatori ed esperti provenienti da differenti campi: dalla sociologia all’economia, dalla psicologia all’archeologia, dallo studio dei sistemi di comunicazione alla demografia.
Negli ultimi anni, parallelamente all’approccio dominante degli studi orientato agli impatti, è emerso un approccio orientato alle scienze sociali. Questo, focalizzato sull’investigazione delle condizioni politiche, economiche e sociali che rendono la società più suscettibile e vulnerabile ai danni causati da stress ambientali, è più adatto a investigare aspetti connessi alle dinamiche del sistema sociale e del comportamento individuale.
L’IPCC definisce la capacità di adattamento come “la capacità o la potenzialità di un sistema di rispondere con successo alla variabilità e al cambiamento del clima, e include aggiustamenti nei comportamenti, nelle risorse e nelle tecnologie” [IPCCWG2Ch 17]. Il workshop ha contribuito a sottolineare l’importanza del cambiamento comportamentale e a identificare i fattori che influenzano la capacità delle comunità e degli individui ad adattarsi al cambiamento climatico: tali fattori comprendono elementi sociali e individuali (come la qualità e quantità di conoscenza, il lavoro, il capitale finanziario, i network relazionali) così come l’accessibilità dei servizi (trasporti, accesso al credito, condizioni del mercato, sistema sanitario).
Il successo dell’adattamento dipenderà fortemente dalla misura in cui gli individui e le società saranno disposti ad accettare il cambiamento e ad adottare stili di vita e comportamenti che possano ridurre le vulnerabilità sociali e ambientali rinforzando le capacità di adattamento e di resilienza.
Il workshop è iniziato con un affascinante intervento di Brian Fagan, archeologo e autore del libro “The great warming – Il grande riscaldamento”. Fagan ha presentato il tema del clima sotto una prospettiva storica: come il clima ha trasformato e distrutto le società umane durante il cosiddetto Periodo Caldo Medievale, affrontando i casi delle civiltà Maya e Chimu. Le lezioni che ci arrivano dal passato rinforzano la convinzione che non ci sia stata una correlazione diretta tra i cambiamenti storici nella società umana e l’antico cambiamento del clima. Piuttosto, sono state le conseguenze economiche, sociali, politiche del cambiamento climatico a cambiare il corso del passato.
Il workshop ha contribuito a richiamare l’attenzione sulla rilevanza dei trascurati “fattori soft”, considerando le abitudini culturali, le attitudini delle persone e il contesto sociale come determinanti cruciali della capacità di adattamento alle condizioni ambientali imposte dal cambiamento climatico (I. Lorenzoni e C. High).
La seconda sessione ha esplorato elementi complementari all’adattamento e ha posto l’attenzione su ciò che le società e i politici possono fare, affrontando un tema finora quasi completamente assente nelle discussioni sul clima: il ruolo delle istituzioni di microfinanza, intese come un effettivo canale di sostegno addizionale ai fondi globali, che faciliti l’adattamento anche da parte delle popolazioni più povere (S. Agrawala).
Una breve storia dell’adattamento al cambiamento climatico è stata presentata da Ian Burton, il cui lavoro include lo studio di strategie ottimali per le pratiche di adattamento tradizionale in tutte le attività di sviluppo. Burton ha affrontato anche la questione di quale sarà il futuro dell’adattamento dopo la COP15 a Copenhagen. I leader delle principali economie mondiali, in quella sede, hanno promesso la devoluzione di fondi per le misure di adattamento nei Paesi in via di Sviluppo, ma ci sono rischi significativi che questi fondi non arrivino e che le promesse non vengano mantenute. La presentazione di Burton ha stimolato il dibattito sull’allocazione ottimale, tra azioni di mitigazione e azioni di adattamento, del Green Climate Fund di Copenhagen.
Le problematiche delle grandi città sono state analizzate grazie a due casi contrapposti: Copenhagen e Bombay. Questi dimostrano come le vulnerabilità non siano dovute solo ad elementi fisici, ma dipendano anche dalla resilienza sociale ed economica delle città (S. Hallegatte).
Nell’ultima sessione, focalizzata sull’apprendimento e l’uso delle nuove tecnologie, è chiaramente emersa l’importanza di affrontare le risposte all’adattamento non solo attraverso approcci di pianificazione top-down – da parte dello stato o delle comunità internazionali – ma anche attraverso strategie che partano dalla comprensione della capacità di adattamento delle comunità (M. Van Aalst, R. Heltberg, N. Kaur, F. Carlssohn).
La pluralità di casi ed evidenze empiriche portano a considerare la rilevanza degli studi sulla vulnerabilità sociale, prevalentemente bottom-up, piuttosto che gli studi degli impatti focalizzati maggiormente sulle manifestazioni fisiche del cambiamento climatico. Per capire quali siano i fattori che promuovono od ostacolano la capacità di adattamento di differenti regioni e comunità, la configurazione sociale necessita di un’analisi approfondita, specialmente al Sud.
Il workshop ha evidenziato la complessità dell’adattamento, delucidando il suo collegamento con la povertà. Anche se la vulnerabilità al clima è altra cosa rispetto alla povertà e all’emarginazione, tali fattori sono spesso un forte ostacolo per i gruppi sociali e per gli individui, quando essi hanno a che fare con strategie di adattamento a lungo termine. Questa considerazione induce alla conclusione che l’adattamento potrebbe non essere separato dai processi di sviluppo, e che è l’attuale vulnerabilità, più che gli impatti futuri, a dover essere al centro delle politiche (Lutz, Heltberg).
L’osservazione conclusiva del workshop ha dunque messo in luce un modo nuovo e interessante di guardare all’adattamento al cambiamento climatico, considerandolo come tema di giustizia sociale e come una questione di moralità.
Approfondimenti
- La pagina web dell’International Workshop The Social Dimension of Adaptation to Climate Change (Venice, February 18th – 19th, 2010) con i paper e le presentazioni dei relatori, il riassunto e l’agenda dell’evento
- Da Climate Science&Policy (la rivista online del CMCC), una video-intervista con Brian Fagan: Discovering The Great Warming: Lessons from The Ancient Earth
- Da Climate Science&Policy (la rivista online del CMCC), una video-intervista con Shardul Agrawala: Microfinance and Adaptation Strategies to Climate Change