Durban e la nuova piattaforma negoziale: impasse superata e sfide future

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La conferenza di Durban è riuscita in parte a risolvere alcune delle questioni in sospeso dei precedenti negoziati. Il successo della COP17, al di là delle prime valutazioni a caldo che possono essere fatte, dovrà però essere valutato soprattutto alla luce dei negoziati a venire.
È di questo avviso Annalisa Savaresi, esperta di cambiamenti climatici e legislazione ambientale internazionale, che ha inaugurato il ciclo di incontri organizzato dall’ICCG (International Center for Climate Governance).

Nell’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, infatti, si è di recente tenuta la conferenza “Cambiamenti climatici e negoziati: Durban e le sfide future”, che fa il punto della situazione sui negoziati internazionali per il clima, in attesa di Rio+20.

La ricercatrice Annalisa Savaresi (Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Copenaghen e visiting presso l’ICCG), ha illustrato le tematiche sulle quali sono stati fatti progressi durante l’ultima COP17 a Durban, in Sud Africa, evidenziando le novità e i principali ostacoli al raggiungimento di un accordo internazionale.
Partendo dalla Convenzione Quadro e dal Protocollo di Kyoto, per concludere con il ruolo dei negoziati nella lotta ai cambiamenti climatici, Annalisa Savaresi ha preso in esame tutti gli strumenti normativi di cui attualmente disponiamo per la lotta al riscaldamento globale.
“La produzione di gas serra”, ha dichiarato, “è il risultato di attività al centro della vita economica di tutti i Paesi (industrializzati e non). La regolamentazione di queste attività solleva numerose questioni di diritto internazionale concernenti lo sfruttamento delle risorse naturali (petrolio, carbone, foreste, ecc.) che ricadono nell’ambito della sovranità nazionale”. Fra i vari strumenti di cui si è dotata la comunità internazionale, il primo è senz’altro stato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), ed è da qui che parte la ricercatrice nel suo lungo excursus.
Adottata nel ‘92 ed entrata in vigore nel ‘94, la Convenzione Quadro è stata sottoscritta da quasi tutti i Paesi (per usare il gergo giuridico dei negoziati internazionali, da 195 Parti); con essa, le Parti si impegnano a proteggere il clima globale per le presenti e soprattutto per le future generazioni, sulla base del principio di equità, e in rapporto alle loro rispettive responsabilità e capacità: ancorché comuni, infatti, le responsabilità delle Parti non sono tutte uguali: i Paesi industrializzati, che hanno delle responsabilità storiche e sono fra i principali responsabili della situazione attuale, devono prendere l’iniziativa nella lotta contro i cambiamenti climatici. “L’obiettivo ultimo della Convenzione (e di tutti i relativi strumenti giuridici) ”, ha commentato Annalisa Savaresi, “è quello di stabilizzare le concentrazioni dei gas serra a un livello tale da evitare qualsiasi interferenza pericolosa delle attività umane con il sistema climatico. Tale livello deve essere raggiunto entro un periodo di tempo sufficiente per permettere agli ecosistemi di adattarsi naturalmente ai cambiamenti climatici, salvaguardare la produzione alimentare e la continuazione dello sviluppo economico a un ritmo sostenibile”.
Lo sviluppo economico resta la priorità per i Paesi in via di sviluppo, ed è considerato essenziale per l’adozione di misure necessarie per far fronte ai cambiamenti climatici, per cui proteggere il clima significa adottare dei provvedimenti in grado di integrarsi nei programmi nazionali di sviluppo. Gli obblighi indicati dalla convenzione sono molto pochi e volutamente molto vaghi. “Ci sono degli obblighi comuni a tutte le Parti”, ha spiegato la Savaresi, “che coinvolgono Paesi industrializzati e in via di sviluppo, come la pubblicazione regolare di inventari nazionali sulle emissioni di gas serra (utili per capire chi sta inquinando e quanto); la formulazione, l’attuazione e l’aggiornamento di politiche climatiche nazionali; la promozione, l’applicazione e la diffusione di tecnologie per il controllo, la riduzione e la prevenzione delle emissioni; la cooperazione nell’elaborazione di politiche e misure di adattamento ai cambiamenti climatici.
Ci sono poi specifici obblighi a carico dei Paesi industrializzati, che dovrebbero prendere l’iniziativa nella lotta ai cambiamenti climatici e portare avanti incisive politiche di mitigazione, per modificare le tendenze di emissione nel lungo periodo. Soprattutto, dovrebbero fornire le risorse finanziarie per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad attuare le misure previste dalla Convenzione, e per facilitare e finanziare il trasferimento di tecnologie in questi Paesi. La misura in cui i Paesi in via di sviluppo adempiranno agli obblighi della Convenzione è subordinata al rispetto degli obblighi (riguardanti le risorse finanziarie e il trasferimento di tecnologie) dei Paesi industrializzati, e alle esigenze di sviluppo socio-economico e di eliminazione della povertà, fra le principali priorità dei Paesi in via di sviluppo che hanno aderito alla Convenzione. Gli obiettivi ultimi che si vogliono raggiungere con tutte queste misure (trasferimento di risorse, informazioni, tecnologie) sono quindi la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici”.
Le convezioni quadro sono utili a identificare dei principi e ad individuare degli obiettivi; per continuare poi su questa strada nel 1997 è stato adottato il Protocollo di Kyoto (sottoscritto da 193 Parti, ed entrato in vigore nel 2005). Il Protocollo di Kyoto rafforza i doveri dei Paesi industrializzati, che si impegnano per il periodo 2008 – 2012 a ridurre il totale delle emissioni di gas serra almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990. Questi impegni sono legalmente vincolanti, e sono concepiti (o almeno lo erano inizialmente) come l’inizio di una serie di impegni successivi.
Dopo questo lungo preambolo, si arriva alla domanda cruciale: “Perché i negoziati?”
“La Convenzione e il Protocollo sono stati concepiti fin dall’inizio come un primo passo verso la soluzione, l’adozione di accordi e impegni supplementari era quindi prevista. Il problema grave è stato che alcuni Paesi chiave, come gli USA, e inizialmente anche l’Australia, hanno rifiutato di ratificare il Protocollo di Kyoto, mentre altri Paesi, pur avendolo ratificato, hanno di fatto rinunciato ad agire in ottemperanza con le obbligazioni assunte (Canada), o hanno annunciato che non intendono assumere impegni ulteriori dopo il 2012 (Giappone, Russia). È spesso mancata la volontà politica di portare avanti gli impegni e gli obiettivi sanciti nel Protocollo. Nel frattempo, lo scenario internazionale è cambiato: le emissioni dei Paesi in via di sviluppo hanno cumulativamente superato le emissioni nei Paesi industrializzati, mentre nel 2012 si conclude il primo periodo di adempimenti del Protocollo di Kyoto. I negoziati sono diventati quindi lo strumento essenziale per assicurare continuità ai protocolli”.
Nel 2007 nel corso della conferenza delle Nazioni Unite a Bali (COP13), è stata approvata una nuova agenda negoziale (Bali Action Plan), con la creazione di due gruppi di lavoro: un primo gruppo comprendeva tutte le Parti e avrebbe dovuto raggiungere gli obiettivi identificati nella Convenzione Quadro, mentre il secondo includeva solo le Parti che avevano ratificato il protocollo di Kyoto e avrebbe dovuto definire ulteriori obblighi di riduzione per i paesi industrializzati a partire dal 2012. Il processo avrebbe dovuto concludersi nel 2009 a Copenaghen (COP15).
“Nel 2007”, ha commentato la Savaresi, “è stata quindi mantenuta una dicotomia fra le Parti: da un lato i paesi industrializzati, con obblighi e vincoli ben definiti, come la riduzione delle emissioni attraverso attività misurabili e verificabili, o il supporto ai paesi del sud del mondo, dall’altro i paesi in via di sviluppo, cui era richiesta una non meglio specificata adozione di misure di mitigazione dei cambiamenti climatici. I negoziati avrebbero dovuto concludersi nel 2009 a Copenaghen (COP15), con un accordo di natura giuridica da definirsi (un Protocollo, o un emendamento della Convenzione Quadro). In realtà questo non è avvenuto, a Copenaghen le Parti non erano ancora pronte a raggiungere un accordo sul futuro del Protocollo di Kyoto e sull’agenda individuata nel Bali Action Plan. È stata quindi adottata una soluzione di compromesso, il cosiddetto ‘Accordo di Copenaghen’ e si è deciso di proseguire con i negoziati attraverso i due gruppi di lavoro”.
L’accordo di Copenaghen è un documento di ambigua natura giuridica, negoziato attivamente dai capi di stato di un gruppo ristretto di paesi, senza uno specifico mandato da parte della COP. Per il suo grave deficit di rappresentatività, è stato spesso al centro di accese controversie politiche, ma ha almeno il merito di aver introdotto il cosiddetto approccio di ‘pledge and review’ alla riduzione delle emissioni dei gas serra”.
Nel 2010, la COP16 a Cancun ha rappresentato un moderato progresso nell’attuazione dell’agenda negoziale contenuta nel Bali Action Plan, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione delle informazioni e l’erogazione di fondi; si è giunti all’istituzionalizzazione del sistema di ‘pledge and review’, ma il futuro del Protocollo di Kyoto è rimasto in sospeso, ne’ è stato fatto alcun progresso verso l’unificazione dei due gruppi di lavoro.
“Se a Copenaghen c’era stato un approccio assolutamente volontaristico, a Cancún si è provato ad attuare una strategia diversa, chiedendo ai paesi di rinnovare i propri impegni; si trattava però di obbligazioni su base volontaria, ben diverse dagli obblighi legalmente vincolanti contenuti nel Protocollo di Kyoto. Gli accordi di Cancún hanno formalizzato alcune delle proposte di Copenaghen: da un punto di vista giuridico, anche se si trattava ancora una volta di un impegno politico, che lasciava invariato il divario tra i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo”.
Con la COP17 a Durban sono stati finalmente raggiunti alcuni traguardi fondamentali: a) si è raggiunto un accordo sul secondo periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto; b) è stata inaugurata una nuova piattaforma negoziale per tutte le Parti (cui aderiranno anche gli Stati Uniti); c) sono stati fatti dei passi in avanti nell’attuazione di alcuni degli strumenti adottati a Cancún (come Green Climate Fund, REDD+, ecc.).
Il secondo periodo di adempimento del protocollo di Kyoto inizierà a partire dal 2013, per concludersi nel 2017 o nel 2020 (sarà deciso entro la fine dell’anno). In realtà, gli impegni supplementari saranno adottati solo da alcune Parti del Protocollo: gli Stati Uniti non ratificheranno, il Canada ha annunciato che si ritirerà dal Protocollo, mentre Giappone e Russia non intendono assumere ulteriori impegni. Le altre Parti (EU e pochi altri paesi) comunicheranno alle Parti del Protocollo di Kyoto (AWG – KP) i quantitativi di limitazione o di riduzione delle emissioni entro il 1 maggio 2012. Tali limitazioni saranno determinate unilateralmente, senza cioè che sia stabilito un target collettivo. Inoltre, in attesa dei risultati della nuova piattaforma negoziale, si è avuta l’istituzionalizzazione definitiva del sistema di pledge and review (che diventa adesso pledge and translate).
“Secondo molti paesi, fra cui gli Stati Uniti, il Bali Action Plan aveva finito per cristallizzare una dicotomia iniqua tra le Parti, basata su presupposti ormai superati. A Durban è stata perciò inaugurata una nuova piattaforma negoziale. Una piattaforma che di fatto sostituisce i due gruppi di lavoro e apre a un nuovo processo negoziale che coinvolge tutte le Parti. Il fine ultimo è quello di arrivare all’adozione di un protocollo (o di un altro strumento giuridico) entro il 2015, perché diventi operativo a partire dal 2020”.
Non sappiamo se la nuova stagione di negoziati inaugurata a Durban funzionerà. “Il problema”, ha concluso Annalisa Savaresi, “potrebbe non essere tanto l’agenda dei negoziati, quanto la mancanza della volontà politica necessaria a prendere misure efficaci per contrastare i cambiamenti climatici. Al momento nessuno può dire quello che accadrà, il progresso fatto a Durban potrà essere valutato soltanto alla luce dei negoziati futuri”.

Credits: Immagine dell’album Flickr CC di UNclimatechange.

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