Uso del suolo ed emissioni: un metodo per una migliore valutazione del raggiungimento degli obiettivi di Parigi

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In un nuovo studio appena pubblicato su Nature Climate Change e realizzato con il contributo della Fondazione CMCC, un metodo per una migliore valutazione dei progressi collettivi realizzati finora per limitare l’aumento delle temperature globali ben al di sotto dei 2°C.

Fonte: JRC web headline

Per porre un limite al riscaldamento globale e raggiungere gli obiettivi di lungo termine dell’Accordo di Parigi, dobbiamo cambiare il modo in cui usiamo il nostro territorio: la lotta alla deforestazione e il potenziamento dell’attuale capacità dei sink di carbonio di assorbire la CO2 atmosferica saranno fondamentali per ridurre le emissioni.
I cambiamenti dell’uso del suolo e la sua gestione  contribuiscono a circa il 14% delle emissioni globali attribuibili all’uomo, principalmente per effetto della deforestazione. Allo stesso tempo, gli ecosistemi terrestri, e in particolar modo le foreste, assorbono circa un terzo delle emissioni totali di CO2 imputabili alle attività umane. Se anche in seguito si renderà necessario l’impiego di nuove tecnologie per rimuovere l’anidride carbonica atmosferica, le foreste sono, al momento, il più importante strumento per l’assorbimento del carbonio di cui l’umanità possa disporre.

Le misure nell’ambito dell’uso del suolo, cambiamenti nell’uso del suolo e foreste, il cosiddetto settore LULUCF (Land use, land-use change and forestry) rappresentano circa un quarto delle riduzioni delle emissioni promesse dai Paesi nei loro cosiddetti Nationally Determined Contributions (NDC) o “Contributi Nazionali Determinati”.
La presenza d’incongruenze tra le stime relative alle emissioni legate ai diversi usi del suolo dei modelli globali e degli inventari nazionali dei gas serra può portare a delle inesattezze nella loro valutazione.

Lo studio appena pubblicato su Nature Climate Change, diretto dallo European Commission’s Joint Research Centre e realizzato con il contributo della Fondazione CMCC (tra gli autori, anche la ricercatrice CMCC Lucia Perugini), riconcilia queste diverse stime “traducendo” i risultati dei modelli globali in valori confrontabili con quelli degli inventari nazionali dei gas serra.
I risultati di questo studio saranno cruciali per la comunità internazionale degli esperti di modellistica (incluso l’IPCC), e per realizzare il “Global Stocktake”, lo strumento per la valutazione periodica dei progressi climatici collettivi, a partire dal 2022, con le modalità previste dall’Accordo di Parigi.

“Il ‘Global Stocktake’ è il motore principale dell’Accordo di Parigi, volto a informare le Parti se il loro sforzo cumulativo è in linea con gli obiettivi di mitigazione, fornendo così un’indicazione sulla necessità di aggiornare i loro  successivi NDC”, spiega Lucia Perugini, ricercatrice della Fondazione CMCC. In altre parole, per verificare se siamo sulla buona strada, le emissioni nette aggregate riportate negli inventari dei gas serra dei paesi dovranno essere confrontate con le traiettorie  emissive per  i 2 ° C definite dall’IPCC. Per fare ciò, è fondamentale che i due set di dati parlino la stessa lingua, o almeno che abbiano un buon traduttore.”

Come conciliare le differenze concettuali delle stime dei modelli e degli inventari nazionali dei gas serra?

Nell’ambito dell’Accordo di Parigi, i Paesi si sono impegnati a contenere l’aumento delle temperature globali “ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli pre-industriali” e, con questo obiettivo in mente, raggiungere, “un equilibrio tra le emissioni di gas serra attribuibili alle attività umane e le azioni per una loro rimozione dall’atmosfera – entro la fine della seconda metà di questo secolo -.”
Diversamente dalle emissioni derivanti dall’uso dei combustibili fossili o del settore industriale, emissioni e sink di carbonio legati ai diversi usi del suolo sono notoriamente difficili da stimare e verificare.

I diversi Paesi realizzano un monitoraggio delle proprie emissioni utilizzando gli inventari nazionali dei gas serra, sulla base di metodologie approvate dall’IPCC, mentre i modelli globali (denominati Integrated Assessment Models) usano metodi diversi per una stima delle emissioni antropogeniche globali derivanti dai diversi usi del suolo.
I loro diversi approcci hanno quindi portato a stime diverse delle “rimozioni” della CO2 attribuibili alle attività umane, come se la comunità globale degli esperti di modellistica e i governi nazionali parlassero due lingue differenti.

L’entità di questa differenza – che oggi equivale a circa 5 gigatonnellate di CO2 all’anno e si riduce nel tempo con scenari “di alta ambizione” di riduzione delle emissioni – complica il compito di valutare i progressi collettivi per il clima nell’ambito dell’inventario globale delle emissioni (Global Stocktake) dell’Accordo di Parigi. In questo processo, le stime delle emissioni dei diversi Paesi saranno messe a confronto con quello che la scienza indica come necessario per rimanere ben al di sotto dei 2°C. Parlare la stessa lingua, vale a dire disporre di dati più omogenei e facilmente confrontabili, è pertanto di cruciale importanza.

La soluzione proposta: calibrare i diversi linguaggi per realizzare delle stime confrontabili

Lo studio mette insieme l’esperienza fondamentale della comunità globale degli esperti di modellistica e di quella degli inventari nazionali dei gas serra, fornendo un modo per tradurre le future stime delle emissioni antropogeniche globali derivanti dai diversi usi del suolo sviluppate dai modelli globali in numeri e dati più confrontabili con le stime fornite dai Paesi.

La principale ragione di queste differenze tra le stime dei modelli e degli inventari risiede nella diversa definizione delle rimozioni di CO2 “antropogenica” da parte delle foreste, ovvero nelle diverse stime dei sink antropogenici forestali.
Gli inventari nazionali considerano un’area forestale più ampia di quella presa in considerazione dai modelli globali, e in quest’area considerano come “antropogenici” quei “flussi” di carbonio (le stime degli assorbimenti/rilasci di gas serra in atmosfera dalle varie categorie di uso del suolo , considerati nel loro complesso) che nei modelli globali sono considerati come “naturali”.

Entrambi gli approcci sono validi nel loro specifico contesto, pur presentando entrambi dei limiti. Dal momento che non esiste il modo perfetto per una stima dei sink antropogenici, ciò che conta di più è la trasparenza e la possibilità di confrontare le diverse stime dei Paesi e dei modelli globali.

Il metodo presentato nello studio permette il confronto tra questi due diversi approcci “spostando” parte dei sink forestali considerati come “naturali” dai modelli globali, nella componente “antropogenica”. In questo modo, le stime dei flussi totali di carbonio in atmosfera non risultano cambiate, mentre le emissioni attribuite alle attività umane e il loro assorbimento stimate dai modelli sono riviste perché risultino confrontabili con quelle degli inventari nazionali.

La soluzione proposta non modifica i percorsi di decarbonizzazione originali dei modelli, ma li ricalibra per garantire una loro maggiore comparabilità con gli inventari sui gas serra nazionali, suggerendo quindi strategie per rendere più omogenee e confrontabili tali valutazioni. Ciò migliorerà anche la comprensione di come le rimanenti emissioni nette cumulative dell’intera economia (il cosiddetto “budget di emissioni rimanente”) consentite per rispettare l’obiettivo dei 2°C, corrispondano alle stime collettive riportate dagli inventari.
Lo studio di Nature Climate Change fornisce dunque alcune raccomandazioni concrete per realizzare un inventario globale dei gas serra il più possibile solido e affidabile, sostenendo un rafforzamento degli sforzi a livello globale per la riduzione delle emissioni sempre più rapido e ambizioso.

Il team di autori è guidato dal ricercatore Giacomo Grassi – Joint Research Centre, European Commission, Ispra, Italy.
Per ulteriori informazioni, leggi la versione integrale dell’articolo:
Grassi, G., Stehfest, E., Rogelj, J. et al. Critical adjustment of land mitigation pathways for assessing countries’ climate progress. Nat. Clim. Chang. (2021). https://doi.org/10.1038/s41558-021-01033-6

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