Metano: tutti i numeri di un protagonista del climate change

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Non solo CO2.  Certo l’anidride carbonica ha un ruolo fondamentale nel riscaldamento globale, ma, tra i gas serra, il metano merita molta attenzione perché ha un potenziale di riscaldamento molto più alto. Una volta rilasciata inoltre, l’anidride carbonica  può persistere in atmosfera e continuare ad avere effetti sul clima anche per migliaia di anni. Il metano, al contrario, ha un tempo di permanenza in atmosfera molto più breve, di circa 12 anni, perché è rimosso molto rapidamente da tutta una serie di reazioni chimiche. Nonostante quindi il metano sia un gas serra da tenere sotto stretta osservazione, i suoi effetti sono relativamente di breve durata e qualsiasi misura volta a ridurre le sue emissioni può portare rapidamente a dei benefici per il clima. 
Per questi motivi, efficaci piani di riduzione delle emissioni di gas serra non possono ignorare questo gas, la cui concentrazione in atmosfera è più che raddoppiata dall’era pre-industriale per effetto delle diverse attività umane.

Dopo un periodo di relativa stabilità all’inizio degli anni 2000, dal 2007 si assiste a un nuovo aumento delle sue concentrazioni, con una forte accelerazione dal 2014, la più alta mai osservata negli ultimi vent’anni.
A registrare questa preoccupante tendenza, lo studio pubblicato di recente sulla rivista Earth System Science Data (tra gli autori, la ricercatrice CMCC Monia Santini della Divisione IAFES), integrato e completato dall’editoriale uscito su Environmental Research Letters.

Frutto della collaborazione di oltre 80 autori riuniti in un consorzio nel contesto del Global Carbon Project, lo studio illustra il bilancio aggiornato del metano globale per il periodo 2000-2012, integrando i risultati degli studi top-down (osservazioni atmosferiche) e dei modelli, degli inventari e degli approcci basati sui dati bottom-up (inclusi i modelli di processo per la stima delle emissioni superficiali terrestri e di chimica dell’atmosfera, gli inventari per le emissioni antropogeniche, ecc.).

I risultati hanno evidenziato che per il decennio 2003-2012, sulla base dei metodi top-down, le emissioni globali di metano sono state pari a 558 milioni di tonnellate all’anno.
Le emissioni antropogeniche, imputabili cioè alle attività umane, rappresentano circa il 60% delle emissioni totali globali.
Come evidenziato dallo studio, la concentrazione del metano atmosferico sta aumentando a una velocità mai registrata negli ultimi vent’anni, con una ripresa a partire dal 2007; dal 2014-2015, le concentrazioni di metano sono aumentate a un ritmo ancora più elevato e i suoi attuali livelli in atmosfera si avvicinano a quelli previsti per RCP8.5, lo scenario più pessimista dell’ultimo rapporto IPCC (a più alta intensità di gas serra).

Il principale fattore responsabile di questo rapido incremento delle concentrazioni del metano globale è soprattutto rappresentato da un aumento delle emissioni del settore agricolo, zootecnico e dei rifiuti: la fermentazione che avviene nei processi digestivi dei ruminanti e la trasformazione delle loro deiezioni, le discariche e la gestione dei rifiuti, la coltivazione del riso sono responsabili del 60% delle emissioni di metano dovute alle attività umane.
Anche altre fonti di emissione, come quelle derivanti dal consumo di combustibili fossili, risultano aumentate.
Le regioni tropicali sono fra i principali responsabili di questa crescita
dei livelli di metano in atmosfera: le emissioni più alte sono state infatti registrate nelle regioni tropicali del Sud America, del Sud-Est Asiatico e dell’Africa (~ 50% delle emissioni globali). Altre regioni per cui si registrano alti livelli di emissioni sono Cina, Eurasia centrale e Giappone, USA, Russia, India ed Europa. In particolare, nelle zone tropicali e boreali si osserva come la preponderanza delle emissioni provenga dalle aree umide e paludose, mentre in Cina e in India le principali fonti di emissione sono rappresentate da agricoltura e rifiuti; alle medie latitudini, come in Europa, le emissioni di metano sono dovute in egual misura alle attività agricole, alla gestione dei rifiuti e al consumo dei combustibili fossili.

Le stime delle emissioni dagli inventari e dai modelli (approcci bottom-up) sono più elevate (736 milioni di tonnellate all’anno),  anche se i contributi di alcune fonti naturali (acque dolci e aree umide e paludose) potrebbero essere stati sovrastimati), e in futuro occorrerà migliorare i metodi per una loro stima ed inventario.

Per riuscire a rimanere ben al di sotto del limite dei 2°C di riscaldamento globale stabilito dall’Accordo di Parigi sul clima, in futuro bisognerà tener conto non solo delle emissioni di CO2 quindi, ma anche di quelle di metano.
Lo studio sottolinea come il recente aumento delle concentrazioni di metano sia imputabile soprattutto alle diverse attività umane. Vista la sua scarsa longevità in atmosfera, qualsiasi riduzione delle emissioni di metano potrà però essere apprezzata in tempi molto brevi e avere immediati effetti positivi.
Il metano potrebbe pertanto offrire crescenti opportunità di mitigazione dei cambiamenti climatici fornendo in tempi rapidi benefici per il clima e allo stesso tempo per l’economia, l’agricoltura, la salute, diventando uno strumento altamente complementare alle strategie di mitigazione dell’anidride carbonica.

Tutti i risultati illustrati nel presente lavoro possono essere scaricati dal Carbon Dioxide Information Analysis Center (http://doi.org/10.3334/CDIAC/GLOBAL_METHANE_BUDGET_2016_V1.1) e e dal sito ufficiale del Global Carbon Project.

La fonte principale per il Global Methane Budget 2016 è la pubblicazione “The Global Methane Budget 2000-2012“
. Ulteriori analisi e dati provengono dalla pubblicazione “The growing role of methane in anthropogenic climate change“.

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